A proposito di REFERENDUM e di ECONOMIA. Una intervista a Vincenzo Comito

A proposito di REFERENDUM e di ECONOMIA
Intervista a Vincenzo Comito
a cura di Paola Patuelli

In questi ultime settimane prima del 4 dicembre, sono numerose le voci che prevedono grossi guai in ambito economico se ci sarà la vittoria del NO. Allarmismo e paure dispensate a piene mani. A dire il vero, abbiamo sentito anche voci che, pur auspicando la vittoria del Sì, sottolineano che comunque disastri non dovrebbero accaderne. In tale fitta nebbia – almeno ai miei occhi di profana di fronte a quelli che per me sono gli imprevedibili misteri dell’economia – abbiamo pensato ad una intervista all’economista Vincenzo Comito. E’stato Docente di Finanza aziendale alla Luiss “Guido Carli” di Roma e all’Università di Urbino.
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Domanda
Ricordo che per alcuni anni sei stato docente alla Luiss. Mi è venuto in mente leggendo una recente intervista a Baldassare, presidente emerito della Corte Costituzionale e, per un lungo periodo, docente (e Rettore), come te, alla Luiss.
Baldassarre critica duramente la “riforma” Boschi-Renzi – in compagnia di tanti altri presidenti emeriti della Corte, che giudicano assai severamente la “riforma” – e, nel corso della intervista, ho trovato un riferimento all’Europa che mi ha colpito. C’è un nesso fra “riforma” costituzionale e un probabile non lontano trattamento alla “greca” – lacrime e sangue – che l’Europa sta preparando per l’Italia? Se vince il Sì – sarebbe, mi pare, un rafforzamento per il governo Renzi – perché dovrebbe aumentare la probabilità di un trattamento “greco” per il nostro paese? Puoi darci lumi?

Risposta
Non mi è del tutto chiaro il ragionamento attraverso il quale il professor Baldassarre è arrivato alla conclusione che se vincesse il sì aumenterebbero le probabilità di un trattamento alla greca per il nostro paese.
Io per la verità penso che sul trattamento dell’Italia il risultato del referendum sarà sostanzialmente irrilevante, come ormai fanno intravedere anche siti specializzati, agenzie di rating, nonché gli stessi andamenti dei mercati finanziari, mentre gli sportelli di scommessa inglesi danno comunque il NO come vincente.
Il fatto è che le ragioni della debolezza italiana, che fanno si che tutti guardino al nostro paese con molta apprensione e ne abbiano persino paura, sono di lunga data. Questo con l’aggravante che a tali ragioni nessun governo ha posto in qualche modo rimedio e meno che mai quello attuale.
Per questo noi siamo appesi non ai risultati del referendum o alle decisioni del governo Renzi, che comunque appaiono sostanzialmente dannose all’economia, ma semmai quasi esclusivamente alle mosse della Banca Centrale Europea, che sta comprando da tempo i titoli pubblici anche italiani, dando loro così anche un’implicita garanzia e riuscendo in qualche modo a calmierare lo spread con i bund tedeschi, sia pure tra alti e bassi. Se cessasse il sostegno della BCE, saremmo comunque fritti, anche con la vittoria del Sì.
Per altro verso, con le nuvole che si vanno addensando all’orizzonte dell’occidente, i tassi di interesse sembrano ora indirizzati verso la risalita, ciò che comunque tenderà a rendere in ogni caso più pesante la situazione italiana.

Domanda
Ma quali sono dunque le nostre debolezze in ambito economico?

Risposta
Le ragioni fondamentali della nostra debolezza, se ci limitiamo alla dimensione strettamente economica (ma di punti deboli ce ne sono di altrettanto gravi in campo politico e sociale) delle questioni, sono sostanzialmente due: la prima il fatto che l’economia sia in gravi difficoltà da una ventina d’anni, cioè già da prima della crisi del 2008 e dell’introduzione dell’euro (non migliorano più il pil, gli investimenti, la produttività; in certi anni cresciamo meno di Haiti e dello Zimbawe, che è tutto dire e, comunque, quando cresciamo di qualche zero virgola, lo facciamo sempre molto meno degli altri partner europei); la seconda ragione è poi costituita dall’enorme peso del debito pubblico, che, tra l’altro, questo governo aveva promesso di ridurre, almeno come incidenza sul pil, senza poi riuscirci. Di recente si è anche aggiunta, a questo quadro già negativo, la crisi delle banche, che preoccupa molto le capitali di tutto il mondo e sulla quale il nostro governo incespica maldestramente di continuo.
Più in generale, anche questo governo non riesce a fare sostanzialmente nulla per invertire la rotta del nostro paese, perché è offuscato, tra l’altro, da un’ideologia fanaticamente neo-liberista, che ormai anche il Fondo Monetario e la Banca Mondiale hanno abbandonato e che, tra l’altro, asseconda acriticamente il pensiero della Confindustria che suggerisce da molto tempo che tutto è colpa del lavoro, dei suoi costi, della sua rigidità, ossessione ormai da cura psichiatrica.
Il referendum, da questo punto di vista, appare anche come un gigantesco diversivo, un modo per confondere le acque e tentare di guadagnare tempo; ma intanto tutto è paralizzato.
Non abbiamo spazio per svolgere a lungo il tema come esso meriterebbe, ma noi crediamo che il problema di fondo dell’economia italiana, che nessuno affronta in qualche modo, è quello che noi possiamo rilevare, che soltanto un 25-30% della nostra economia è competitiva a livello mondiale, mentre il resto invece non si regge in piedi. Quindi il problema che non affrontiamo e che provvedimenti come il jobs act semmai aggravano è quello che il nostro modello di sviluppo è obsoleto e arretrato, mentre parallelamente il debole potere d’acquisto delle famiglie non riesce comunque a sostenere la domanda. Abbiamo quindi sia un problema di domanda che di offerta.
Questo fa sì, tra l’altro, che se anche domani il governo, poniamo, distribuisse a tutti i cittadini 5000 euro a testa, correremmo a comprare per la gran parte merci cinesi, coreane, statunitensi, tedesche. Le produzioni avanzate gli altri le fanno meglio o, d’altro canto, in molti casi noi non le facciamo per niente. Da quando c’è questo governo le cose sul fronte del modello di sviluppo non si sono mosse di un solo millimetro e non penso che si muoveranno neanche con la vittoria del Sì.

Domanda
Alla luce di questa tua risposta, che mi pare chiarisca molte cose, ti faccio la seguente domanda. Baldassarre, storica figura della LUISS, sostiene il NO, mentre Sergio Fabbrini, attuale direttore della LUISS, non solo sostiene il Sì, ma dice – in un recente articolo pubblicato sulla rivista de Il Mulino – che l’Italia, se vince il NO, sarà come “un treno che deraglia”. Quindi anche all’interno di ambienti accademici “di rango” le posizioni sono diverse e plurali. Non sarebbe il caso, proprio per questo, di non drammatizzare e di non parlare di “deragliamenti”?

Risposta
Sono d’accordo. Se proprio volessimo parlare di deragliamenti, dovremmo dire che il treno è uscito dai binari già molti anni fa (forse pochi se ne sono accorti allora) e che gli ultimi ferrovieri che sapevano come fare a rimetterlo in sesto sono andati in pensione da parecchio o sono stati costretti a farlo. La vittoria del Sì toglierebbe qualche speranza residua che il treno possa camminare di nuovo; o forse, a questo punto, bisognerebbe chiamare al soccorso qualche ferroviere da un altro paese.

Domanda
Cosa bisognerebbe allora fare per invertire la rotta?

Risposta
Per cambiare direzione avremmo intanto bisogno di un lavoro di lunga lena, mentre i nostri politici guardano al massimo all’orizzonte di una settimana. Sarebbe indispensabile, comunque, indirizzare forti risorse verso la scuola, l’università, la ricerca, gli investimenti pubblici, l’economia verde, ma questo governo non fa sostanzialmente nulla in questi campi. I circa 20 miliardi che stiamo regalando alle imprese per il famigerato jobs act sarebbero stati molto meglio spesi nella direzione sopra indicata. Purtroppo le cose non cambiano.
Ricordiamo, tra l’altro, che il governo Berlusconi già diversi anni fa tagliò in un colpo solo, se ricordiamo bene, circa 7 miliardi di euro agli stanziamenti annuali per l’Università e che nessun governo successivo ha ripristinato tali somme, mentre noi spendiamo per la ricerca, come è noto, una cifra ormai minima, ridicola rispetto a quella degli altri paesi e mentre nessun governo ha di nuovo fatto niente in proposito, pur se bisogna anche ricordare il ruolo nefasto del sistema imprenditoriale e di quello bancario in tutto questo.

Domanda
E’ vero che con la vittoria del sì si risparmierebbero molti soldi e la politica costerebbe di meno? Mi ha colpito una recente frase detta da Renzi. I soldi che risparmiamo con la “riforma” possono andare a sostegno dei poveri. Quanti sono i soldi che realmente si “risparmiano” e quanto di questa cifra andrebbe ad ogni singolo povero? Io amo poco i numeri, ma recentemente mi pare che ci servano molto, per fare chiarezza e per dissolvere falsità.

Risposta
Intanto, come hanno già sottolineato autorevoli voci, non si può fare una riforma costituzionale semplicemente per risparmiare qualche soldo. Mi sembra un ragionamento veramente incredibile; per questa strada, se abolissimo del tutto il Senato e la Camera, risparmieremmo ancora di più. Parecchio di più se, poi, chiudessimo un po’ di scuole pubbliche e privatizzassimo la sanità.
Peraltro, secondo Renzi con la riforma i risparmi potrebbero arrivare ai 500 milioni di euro, anzi lo stesso signore ha parallelamente annunciato 500 milioni in più per le politiche sociali verso i poveri, soldi evidentemente collegati a tali risparmi. Ora, la Ragioneria dello stato ha fatto i conti e dice che i risparmi veri sarebbero al massimo di 57 milioni di euro. Come è stato a questo proposito ricordato, si risparmierebbe di più riducendo le indennità dei parlamentari.
Supponendo poi che i poveri in Italia siano 5 milioni (non ricordo la cifra esatta) dai nuovi stanziamenti essi riceverebbero 100 euro a testa. Ma naturalmente poi, conoscendo la stato delle burocrazie pubbliche, i poveri veri otterrebbero molto di meno.
A proposito dei vantaggi economici, Renzi sostiene anche che la riforma farebbe aumentare il pil dello 0,6% all’anno, mentre il ministero dell’economia afferma che con il Sì al referendum esso crescerebbe nel 2017 dell’1%. Tali affermazioni appaiono grottesche, perché esse non hanno riscontro in alcuna analisi scientifica, in nessun modello matematico; si tratta in sostanza di affermazioni puramente propagandistiche. Con la stessa serietà scientifica io potrei dire che la riforma ridurrebbe in realtà lo stesso pil dell’1%.

Author: Paola Patuelli

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